La casa dell’architetto Alberto Sifola, con vista su uno dei panorami più iconici del mondo (il Golfo di Napoli e il Vesuvio), è un manifesto del suo pensiero: un equilibrio perfetto tra arte e architettura. Le stanze si susseguono armoniosamente, con porte allineate e scale che definiscono i livelli dell’abitazione, mentre i ricordi danno sostanza e profondità all’ambiente. Le tracce del vissuto rappresentano una chiave di lettura fondamentale per comprendere l’opera di questo maestro napoletano.
Colore adeguato, eleganza, distanza, soffitti alti e nobili, arredi di charme: quanto conta per lei la contaminazione nell’architettura?
Credo che la contaminazione sia l'elemento chiave. Per me è più difficile progettare una casa arredata esclusivamente con mobili antichi di un'unica epoca o, come viene richiesto oggi, una casa completamente contemporanea. È meraviglioso quando i ricordi si mescolano e trovano un equilibrio: quella è la casa dove si percepisce il massimo confort, il luogo più accogliente, dove anche gli ospiti avvertono questa armonia. La semplicità del vivere si trasmette attraverso l’arredo anche a chi entra. In un ambiente non noto subito i particolari, ma è importante per me percepire accoglienza e confort, solo dopo, magari, ci si sofferma sui dettagli.

Lei progetta spesso case per collezionisti d’arte antica o contemporanea, vive in una città dove storia e bellezza sono praticamente ovunque: le guida la mano nel lavoro tutta questa bellezza?Forse è più semplice spiegare che ho scelto questa strada per un desiderio incondizionato che ancora oggi mi accompagna: lo star bene, ovunque, anche in una stanza vuota dove si percepisca un progetto architettonico. Nel mio lavoro, tutto ruota intorno all'epoca di costruzione della casa e alla persona che la abiterà. Per me una casa è un successo se soddisfa le esigenze dei suoi abitanti, anche se non dovesse essere perfetta. Quando restauriamo, ci lasciamo influenzare dallo stile dell'immobile. Parlo al plurale perché ho un socio da 44 anni, Vincenzo Sposato, con cui mi confronto continuamente.
Se costruiamo una casa ex novo, facciamo riferimento al luogo in cui ci troviamo e cerchiamo di rispettare il famoso "genius loci".
Recentemente ho restaurato per la mia famiglia una casa in Puglia: era un rudere quando l’abbiamo acquistata. Ho cercato di interpretarla nella maniera più semplice possibile, senza prevaricare il territorio che era rimasto totalmente spoglio a causa della xylella. Gli ulivi secolari che avevamo visto all'acquisto e che ne costituivano il grande fascino erano spariti. Abbiamo conservato i tronchi spogli con i ributti vitali alla base: li rispettiamo, li potiamo, li curiamo, sperando che la natura possa fare il suo corso e combattere questa malattia.
Leggo su internet: “Alberto Sifola, l’architetto delle case più raffinate di Napoli”. Qual è la cosa più difficile nel suo fare architettura?
Cerchiamo sempre di dire la verità ai committenti: nella nostra professione è la cosa più difficile, perché lavoriamo spesso d'istinto e troviamo soluzioni inattese. Spiegare queste intuizioni è la parte più complicata, richiede infatti motivazioni molto chiare. Tuttavia, questo continuo confronto ci aiuta a comprendere meglio il progetto e a progredire. Sebbene spiegare un'intuizione sia difficile, presenta quindi anche i suoi aspetti positivi.

Come me la racconta invece la sua, di casa?
La nostra casa è la vita della famiglia. Qui, ogni oggetto ha una storia e ogni quadro, soprattutto quelli contemporanei, ha un significato speciale. Potrei raccontarle di ogni singolo pezzo. Ad esempio, questo quadro (indica un bellissimo quadro presente in sala, alla sua destra, ndr) mi ha spinto a dipingere questa parete di rosso, sullo sfondo beige si sarebbe perso completamente. È un quadro che mia moglie aveva inizialmente rifiutato, ma avendo una parete così grande, lei stessa ha suggerito: «Abbiamo quella tela arrotolata da anni, perché non proviamo?». Ecco perché ogni oggetto ha una storia personale.
Il tema dell’arte con lei sembra tornare sempre, come un’ombra che la segue dappertutto…
In effetti sì, è una catena alla quale mi sento piuttosto legato, perché, nonostante la mia età, credo sia una fonte dalla quale poter ancora imparare.
Sono sempre pronto a osservare e a prendere spunti: questo ovviamente mi toglie un po' di serenità, ma credo di aver fatto nella vita più cose di cui sono fiero grazie all'ansia piuttosto che alla tranquillità.

Dove si vede la mano di Alberto Sifola nella sua casa?
Le case che mi piacciono di più sono quelle che durano nel tempo, che non necessitano di essere cambiate e dove la mano dell'architetto non è troppo evidente. Questa casa, per esempio, è stata completamente ricostruita, anche se ad una prima occhiata potrebbe non sembrare così. Una caratteristica che amo applicare è l'allineamento delle porte (una peculiarità che si nota nella sua casa, ndr): l'uso delle camere che si susseguono è una tradizione napoletana e romana che tendo a riproporre anche in case più piccole. In questo modo si raddoppia lo spazio percepito e non si ha l'impressione di essere chiusi in una stanza. Al contrario, si può apprezzare tutta la continuità degli ambienti, facendo sembrare la casa molto più ampia, come un grande loft.
Esiste qui in casa un posto tutto suo? Diciamo un angolo preferito
In generale, mi ritengo molto fortunato ad averne diversi. A casa il luogo dove mi ritrovo sempre è il mio posto a tavola: è lì che telefono, leggo il giornale e scrivo. Poi, naturalmente, devo spostarmi quando è il momento di ridarne il possesso alla famiglia. Questa abitudine di fare e disfare, come Penelope, mi è quasi congeniale. Sto bene anche in salotto e sul terrazzo; se la casa è ben studiata per chi la deve abitare, ci si sente a proprio agio ovunque. Tuttavia, il posto che prediligo è il tavolo da pranzo, con vista sulla terrazza, il Vesuvio e sulla cupola della Chiesa di San Francesco di Paola, di fronte al Palazzo Reale. La guardo e sono felice. Penso, progetto, schizzo: tutto accade lì.

Si può dire che uno dei suoi tratti più distintivi sia il gusto per le scale?Amo molto le scale, le considero vere e proprie sculture. È stata una sfida imparare a progettarle, poiché inizialmente non sapevo da dove cominciare. Questa incertezza mi ha irritato a tal punto che mi sono dedicato a tale studio come mai prima. Le scale sono diventate la nostra specialità: inseriamo queste sculture nei nostri progetti e ci diverte il collegamento verticale, fondamentale per unire tutti i vari piani. Come accade con le porte allineate, una scala deve essere leggibile da tutti i livelli.

Per progettare una casa bisogna temere i trend o saperli gestire?
Certamente queste scale si distaccano un po' dalle mode e riflettono la nostra visione personale. Utilizziamo sia corrimano pieni che trasparenti, a seconda delle esigenze del proprietari, cercando sempre di armonizzare le loro richieste con la nostra estetica. Ho la fortuna -e sfortuna, allo stesso tempo - di non avere la pressione che c’è a Milano, una città che segue sempre le ultime tendenze e anticipa le mode. Da noi, le novità vengono filtrate e arrivano dopo un certo tempo. Le assimiliamo senza nemmeno rendercene conto e le integriamo gradualmente, forse in modo più soft. Certamente potrebbe avere più chance un architetto che segue i trend rispetto a uno che, come noi, progetta case destinate a durare 50 anni o più, non seguendo strettamente una moda ma piuttosto sfiorandola. Quindi, inseriamo un pezzo di design alla volta, ma non esageriamo: tutto viene miscelato con i ricordi dei padroni di casa - come già detto - poiché questi ricordi sono la chiave per rendere un progetto personale, accogliente e più semplice da gestire: ti senti a casa.

Cosa le piace meno dell’architettura contemporanea?
Sono profondamente affascinato dall'architettura contemporanea, che consente di realizzare opere spettacolari senza i vincoli che caratterizzavano magari gli artisti del Rinascimento. La tecnologia ha raggiunto livelli straordinari che lasciano senza fiato.
Lei è l’anima pulsante di “Friends of Naples”, che promuove restauri di beni artistici a Napoli attraverso le donazioni: in una città che trasuda arte e contaminazione vuol dire che la conservazione del patrimonio è messa così male?
A Napoli, spesso trascuriamo la manutenzione ordinaria, assuefatti come siamo alla bellezza: ed è un peccato che non ci occupiamo di questo aspetto fondamentale. È anche per questo che con alcuni amici abbiamo fondato l'associazione "Friends of Naples", di cui sono presidente. Il nostro impegno si concentra sulla manutenzione, che cerchiamo di promuovere tanto nei palazzi del Settecento che nelle chiese trecentesche quanto nelle stazioni dell’arte realizzate vent'anni fa. Queste stazioni, progettate da grandi architetti e arricchite da 257 opere d'arte, volute da Antonio Bassolino, Achille Bonito Oliva e Gian Egidio Silva, si inseriscono magnificamente nel tessuto urbano napoletano, che è così antico e in parte fatiscente. L'architettura contemporanea grazie a questo progetto straordinario si integra perfettamente con il contesto storicizzato e preesistente della nostra eclettica, sfaccettata, poliedrica, trascurata ma meravigliosa città.
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