Napoli, Roma, Torino, Messina e Palermo. Tutte città accomunate da conti in dissesto dovuti in larga parte da un’incapacità di riscossione. La situazione di multe, tariffe e canoni appare critica. Va meglio il fronte tributi. Ciò che non viene incassato si trasforma in arretrato, con la speranza di essere recuperato negli anni successivi.
Secondo un calcolo del Sole 24 Ore sugli ultimi certificati di bilancio consuntivo dei Comuni, nel 2016 su 12.418 miliardi di tributi sono stati riscossi 9.088 miliardi; su 2.833 miliardi di alienazioni, tariffe e canoni sono stati riscossi 1.891 miliardi e su 1.706 miliardi di multe sono stati riscossi 599 milioni.
Il problema è che con la riforma dei bilanci è stato imposto ai sindaci di cancellare le vecchie entrate ormai impossibili da incassare, facendo uscire dai bilanci ben 29,3 miliardi di arretrati e aprendo così un extra-deficit che una norma ponte permette di ripianare in 30 anni.
A Napoli la Corte dei conti ha calcolato che nel 2016 il Comune è riuscito a recuperare solo l’1,75% delle entrate scritte nei bilanci degli anni precedenti ma non incassate. A Roma l’anno scorso è entrato in cassa solo un quarto delle multe imposte dal Comune e non è stata recuperata la metà di canoni e tariffe, dalle rette degli asili nido al trasporto scolastico. La situazione non è migliore a Torino, Messina, Palermo.
Il rischio fallimento dei comuni italiani si fa sempre più serio e adesso non riguarda solo enti medio-piccoli, ma anche grandi città. E le conseguenze politiche sono pesanti.
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