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Sardegna
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Solo 19 milioni di euro incassati dall’erario nel 2017 a fronte di  83 attesi. Queste le cifre del “flop” della tassa sugli affitti brevi, detta impropriamente “tassa Airbnb”. Un fallimento dovuto in parte alla persistenza del nero, in parte al gran numero di ricorsi presentati dai portali per affitti brevi contro il pagamento della tassa che, a detta loro, rappresenta alla lunga un danno per i consumatori poiché discrimina tra piattaforme e sistemi di pagamento. Oltretutto non risulta chiaro quali operatori debbano adeguarsi alla normativa e quali no. Nuove ondate di protesta sono previste per il 20 agosto, termine entro il quale è fissata la trasmissione dei dati da parte delle piattaforme di affitti sul web. Dati che le piattaforme, in attesa degli esiti dei ricorsi, non sempre hanno provveduto a raccogliere.

Dal momento che si era previsto di incassare, a regime, qualcosa come 139 milioni di euro l’anno dalla “tassa Airbnb” ma la tendenza pare andare in tutt’altra direzione, contromisure sono state annunciate dal ministro del Turismo e delle Politiche Agricole Gian Marco Centinaio per “non lasciare praterie”. In particolare  il Ministro pensa ad una revisione del decreto legge 50/2017 e ad uniformare la tassa di soggiorno in tutta Italia, destinandone i proventi a progetti legati al turismo e al territorio.

La convenzione Airbnb con i Comuni sardi

Intanto c’è chi già si è mosso in direzione di una maggiore efficienza. La Regione Sardegna, in particolare, aveva sollecitato i Comuni dell’Isola e gli operatori turistici a sistematizzare la raccolta della tassa di soggiorno e della tassa sugli affitti in modo da limitare gli sprechi e da contenere le evasioni. All’appello hanno risposto i Comuni di Arzachena, Golfo Aranci, Olbia, Posada e Santa Teresa di Gallura, a cui aggiungerà, a breve, anche Dorgali, stringendo una convenzione con Airbnb per la riscossione telematica delle gabelle.

“La convenzione sarà attiva dal prossimo novembre – dice l’avvocato Mario Delogu, che ha seguito gli aspetti legali dell’accordo tra Airbnb e i Comuni citati. – Gli effetti quindi non si vedranno nell’anno in corso, ma ci aspettiamo che nei prossimi anni avremo maggiore semplicità gestionale, minori adempimenti da parte dei locatori privati e maggiore ordine sul mercato a garanzia della qualità dell’offerta ricettiva”.

In cosa consiste, quindi, questo accordo? “Col decreto legge 50/2017 il pagamento della tassa di soggiorno è stato esteso anche agli affitti brevi, inferiori ai 30 giorni – spiega l’avv. Delogu. – Il che significa che, anche se per importi irrisori (1-2 euro al massimo), i gestori privati sono stati gravati di adempimenti burocratici assai fastidiosi, e anche i consumatori si sono ritrovati costretti a versare queste somme anche per soggiorni molto brevi. Si è quindi deciso di stipulare con Airbnb (l’operatore con la fetta di mercato più interessante) un accordo simile a quello già esistente in grandi città come Milano, Genova, Venezia o Rimini. In virtù di questo accordo Airbnb - che già trattiene il 21% in caso di cedolare secca - provvede a trattenere anche gli importi delle tasse di soggiorno direttamente a pagamento effettuato, per poi riversarli periodicamente al Comune”.

Quali sono i vantaggi? “In questo modo si agevola il pagamento del consumatore, si libera il gestore dalla necessità di rendicontare i versamenti, si evita l’evasione senza alcun bisogno di controlli da parte del Comune, si fa maggiore ordine tra le attività ricettive limitando il rischio di truffe”.

Eppure Federalberghi pare non aver gradito questa misura. “Airbnb è vista come concorrente dell’offerta alberghiera – dice l’Avv. Delogu. – Ma un accordo di questo genere va nella direzione di dare uniformità alla tassa di soggiorno. Il che, a conti fatti, può essere un vantaggio anche per gli albergatori”.

 

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