L'amministratore di condominio decade alla scadenza dell'incarico, per revoca oppure per dimissioni spontanee: cosa sapere.
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Decadenza dell'amministratore di condominio
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Quando decade l’amministratore di condominio? Si tratta di un dubbio che sorge più che legittimamente fra i condomini, nel tentativo di comprendere quanto duri il mandato di questo professionista o, ancora, quali siano i casi che ne permettono una revoca prima della scadenza.

In linea generale, la legge prevede una durata dell’incarico dell’amministratore pari a due anni, tempistica che può poi essere rinnovata per decisione dell’assemblea. Il mandato può decadere alla sua naturale scadenza, in caso di revoca da parte del condominio o per dimissioni volontarie.

Qual è la durata dell’incarico di un amministratore di condominio

Prima di entrare nel dettaglio dei casi che possono portare un amministratore di condominio a decadere, è utile analizzare cosa preveda la legge in merito alla durata del suo incarico. La questione è regolata dall’articolo 1129 del Codice Civile, che stabilisce che l’incarico del professionista:

  • dura un anno dalla nomina;
  • si estende per un secondo anno, tramite rinnovo automatico.

In altre parole, l’amministratore di condominio può contare su una durata in carica di due anni: il primo anno dalla nomina, a cui segue il rinnovo automatico. È però doveroso sottolineare che queste tempistiche sono state modificate con la Riforma del Condominio del 2012, ovvero con la Legge 220 dello stesso anno. Infatti:

  • la durata dell’incarico dell’amministratore di condominio prima della riforma si estendeva per un anno, con possibilità di rinnovo;
  • la durata dell’incarico dell’amministratore di condominio dopo la riforma è biennale, sempre con l’opzione di rinnovo.
Amministratore di condominio
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Come facile intuire, le tempistiche dell’incarico stabilite dalla legge non sono inderogabili. L’assemblea può infatti decidere di avvalersi di un amministratore per periodi di durata inferiore o superiore, ad esempio con la revoca o il rinnovo. Inoltre, la durata può modificarsi a seguito delle dimissioni dello stesso professionista o della sua revoca.

Quando un amministratore decade

Specificato quale sia la durata del mandato prevista per legge, è utile analizzare i casi che possono portare alla decadenza del ruolo dell'amministratore. Vi possono infatti essere cause fisiologiche, come ad esempio la naturale scadenza dell’incarico, oppure casi legati alle dimissioni del professionista o alla sua revoca.

Scadenza naturale del mandato dell’amministratore

Come già spiegato in precedenza, l’incarico dell’amministratore ha una durata biennale, così come previsto dall’articolo 1129 del Codice Civile. Ma cosa succede, alla naturale scadenza del mandato?

Se al termine dei due anni l’assemblea non procede al rinnovo con un’apposita delibera, il professionista decade automaticamente. In altre parole, quando ci si trova in una situazione di mancata conferma dell’amministratore di condominio:

  • gli inquilini non esprimo, tramite voto assembleare, la volontà di rinnovare l’incarico;
  • il mandato si considera fisiologicamente concluso.

In questa situazione, al decadere dell’amministratore in carica, il condominio dovrà convocare una nuova assemblea per la nomina del sostituto.

Dimissioni e rinuncia volontaria

L’interruzione dell’incarico dell’amministratore può avvenire anche per scelta spontanea dello stesso professionista, nel comunicare le proprie dimissioni all’assemblea di condominio.

In questo caso, così come sempre previsto dall’articolo 1129 del Codice Civile, l’amministratore potrebbe essere tenuto a eseguire attività urgenti per garantire la continuità della gestione del condominio, fino alla nomina del sostituto. Le dimissioni comunque determinano una decadenza immediata dell’incarico, la sostituzione presuppone invece una delibera assembleare per nominare il nuovo amministratore.

Revoca dell’amministratore da parte dell’assemblea

Per contro, può essere la stessa assemblea condominiale a decidere di revocare l’incarico, quando i condomini non vogliono più l'amministratore. Sempre l'articolo 1129, infatti, stabilisce la facoltà di procedere all’interruzione del rapporto:

  • tramite votazione assembleare;
  • purché si raggiungano le maggioranze previste dall’articolo 1136 del Codice Civile, pari alla maggioranza degli intervenuti in assemblea, purché rappresentino almeno la metà del valore in millesimi dell’edificio. 

Non è necessario che l’assemblea individui una causa specifica per interrompere il rapporto lavorativo, salvo nei casi di gravi irregolarità, come si vedrà nei propri paragrafi. Naturalmente, se l’amministratore dovesse ritenere che la revoca è avvenuta ingiustamente, può adire le vie legali nei confronti del condominio.

Revoca giudiziale dell’amministratore

La revoca dell’amministratore può anche avvenire per decisione dell’autorità giudiziaria, anziché dell’assemblea. Infatti, quando si verificano gravi irregolarità nell’operato del professionista - la mancata convocazione dell’assemblea, l’omessa rendicontazione delle spese del condominio, l’appropriazione indebita di fondi condominiali e molto altro ancora - uno o più condomini possono rivolgersi al tribunale, per chiederne la revoca.

Martello del giudice
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Su questo fronte si è più volte espressa la giurisprudenza. Ad esempio, una sentenza sulla durata dell’incarico dell’amministratore di condominio della Cassazione - la 14454/2016 - ha stabilito che, in presenza di gravi irregolarità come la mancata presentazione della polizza assicurativa richiesta dall’assemblea - è giustificata la revoca anche in sede giudiziaria.

Perdita dei requisiti di legge

Infine, l’amministratore può decadere anche per la perdita - o il precedente mancato conseguimento - dei requisiti di legge previsti per esercitare questa professione, definiti dall’articolo 71-bis delle Disposizioni di Attuazione del Codice Civile. In particolare, al professionista è richiesto:

  • il possesso di un diploma di scuola superiore;
  • la partecipazione ai corsi di formazione previsti per la professione;
  • l’assenza di condanne penali per delitti contro il patrimonio.

Quali cause permettono di revocare l’amministratore

Come si è visto nei precedenti paragrafi, l'assemblea di condominio ha la facoltà di revocare l’amministratore. Sebbene non sia necessario specificarne le ragioni, a meno di gravi irregolarità, quali sono le cause tipiche che portano a una simile conseguenza?

In linea generale, le motivazioni più frequenti che possono portare l’assemblea di condominio a revocare il professionista - o, ancora, a rivolgersi all’autorità giudiziaria per richiederne la revoca giudiziale - sono:

  • la mancata convocazione dell'assemblea condominiale annuale per l’approvazione del rendiconto, così come previsto dall’articolo 1130 del Codice Civile;
  • l’omessa esecuzione delle delibere assembleari, ovvero quando l’amministratore non dà seguito alle decisioni prese tramite votazione dalla stessa assemblea;
  • l’errata o la mancata gestione finanziaria del condominio, ad esempio con irregolari o imprecise rendicontazioni, l’uso improprio di fondi condominiali, l’assente apertura di un conto corrente di condominio e altri gravi inadempimenti analoghi;
  • l’omessa comunicazione di conflitti di interesse, ad esempio quando l’amministratore ha interessi specifici nel condominio - ad esempio, poiché possiede un’unità immobiliare nello stabile. Eventuali conflitti non escludono automaticamente la possibilità che il professionista possa essere incaricato per la gestione del condominio, ma devono essere preventivamente comunicati all’assemblea;
  • l’elusione degli obblighi di trasparenza, come ad esempio il diniego verso i condomini di accedere alla documentazione condominiale.

Poiché le casistiche possono risultare anche particolarmente complesse da identificare e gestire, il consiglio è quello di consultare un legale per capire in quali casi il condominio possa procedere senza conseguenze, come cause per risarcimento danni intentate dallo stesso amministratore.

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