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Recupero Iva prima casa, alcuni chiarimenti dalla Cassazione
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La Cassazione è intervenuta in tema di recupero Iva prima casa. Secondo quanto chiarito, la revoca delle agevolazioni prima casa per le abitazioni di lusso legittima l'avviso di liquidazione da parte dell'amministrazione nei confronti del cedente o cessionario quando la sbagliata applicazione dell'aliquota al 4% al posto di quella ordinaria non è esclusivamente imputabile alla dichiarazione mendace dell'acquirente, ma a elementi oggettivi del contratto stipulato tra le parti.

Il caso in esame, relativo al recupero Iva prima casa, ha riguardato un avviso di liquidazione, in merito all'acquisto di un immobile a uso abitativo, con il quale l'Agenzia delle Entrate chiedeve il maggior importo per Iva, sanzioni e interessi, dopo aver verificato la natura di lusso dell'immobile ceduto.

La Ctp di Bergamo ha respinto il ricorso e ha negato l'esistenza di un vincolo di solidarietà con il venditore. La Ctr ha poi confermato la decisione della commissione provinciale, sostenendo che l'amministrazione finanziaria può recuperare "la differenza d'imposta nei confronti del solo acquirente, quale responsabile della dichiarazione mendace, nonché principale destinatario del beneficio fiscale revocato". Il contribuente ha quindi proposto ricorso per Cassazione.

Con la sentenza n. 10656, i giudici di legittimità hanno ricordato quanto disposto dal Tur (Dpr n. 131/), Tariffa allegata, parte prima, nota II-bis, articolo 1, comma 4, in merito ai trasferimenti immobiliari soggetti a Iva. Nello specifico, che "l'ufficio dell'Agenzia delle Entrate presso cui sono stati registrati i relativi atti deve recuperare nei confronti degli acquirenti la differenza fra l'imposta calcolata in base all'aliquota applicabile in assenza di agevolazioni e quella risultante dall'applicazione dell'aliquota agevolata, nonché irrogare la sanzione amministrativa pari al 30 per cento della differenza medesima".

Analizzando poi precedenti sentenze, ma anche i principi della sesta direttiva europea, la Cassazione ha sottolineato che "la responsabilità del cessionario si aggiunge a quella del cedente, posto che, da una parte, le caratteristiche di lusso dell'immobile ceduto sono un elemento oggettivo, di cui entrambe le parti contrattuali hanno conoscenza e, dall'altra, il cedente, ai sensi dell’articolo. 21 del Dpr n. 633/1972, è tenuto a emettere fattura, verificando i presupposti di legge". E come stabilito nella sentenza, "il Fisco può agire direttamente nei confronti del cedente, sia per il recupero dell'imposta, sia per l'irrogazione delle sanzioni; al contempo, l'Amministrazione ben può rivolgersi anche nei confronti dell'acquirente".

La Cassazione ha poi precisato che "il pagamento della maggiore Iva accertata da parte di uno dei due coobbligati libera ovviamente l'altro, secondo le regole generali (non potendo certo il fisco conseguire due volte la medesima prestazione), ma se ad adempiere è il cedente, questi potrà esercitare la rivalsa 'successiva', nei termini di cui al D.P.R. n. 633 del 1972, novellato art. 60, comma 7; non così, naturalmente, ove il pagamento sia effettuato dal cessionario, giacché in tal modo egli resta definitivamente inciso dall'imposta, come per legge".

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