L'architetto Alessandro Scandurra ci aspetta sull'uscio della sua casa milanese, affacciato su una bellissima scalinata elicoidale che ruba l'occhio a chi arriva. Classe 1968, è un protagonista indiscusso dell'architettura italiana contemporanea.
Parliamo sempre di case pensando solo all’interno. In realtà l’elenco delle superfici urbane interessate da progetti di recupero e rigenerazione è sempre più lungo: come stanno cambiando le nostre città?
Le città vivono oggi un periodo di grande cambiamento, di rigenerazione: cambiano dall'interno, crescono all'esterno sempre in un’ottica di miglioramento dello stato della comunità. Se pensiamo che entro il 2050 la rigenerazione urbana potrebbe interessare 930 chilometri di superficie territoriale nazionale possiamo ben immaginare quanto questa cosa trasformerà radicalmente le nostre città.

Come si fanno rientrare gli obiettivi dell’Agenda 2030 nella progettazione? Come dare corpo ad una visione dell’abitare pensata per ridurre l’impatto sull’ambiente?
Le trasformazioni in atto avranno sempre più a che fare con la sostenibilità, che noi dobbiamo sforzarci di immaginare come un atto di durabilità. Le cose che pensiamo e che trasformeranno lentamente il pianeta devono essere progettate per durare. E devono essere pensate per costruire delle comunità sostenibili: non solo per essere oggetti sostenibili a sé stanti. Uno degli obiettivi principali dell'agenda 2030 è proprio quello di costruire una rete di attività ed attori in grado di capire le esigenze nella trasformazione.

Intanto grazie per averci ospitati qui in casa sua, oggi. Cosa mi dice della sua abitazione?
Abito la mia casa con i figli e la mia compagna da due anni e mezzo. Ci siamo trasferiti durante il lockdown. E' una casa dei primi anni del Novecento, disegnata da un architetto molto bravo, credo di origini francesi perchè ha degli elementi molto riconoscibili di quel tipo di scuola. Ha una scala magnifica, elicoidale, un ingresso anche questo molto pensato. Ed è una casa di quelle classiche, con il corridoio e la distribuzione delle stanze a destra ed a sinistra: che però noi viviamo come un loft, perché ho questa tendenza ad usare le case come esperimenti per abitare in maniera diversa. Tendiamo a smontarla, a mettere oggetti sparsi per la casa ed anche a trasformarla nel tempo. Non è mai conclusa, è sempre un pò in divenire.

Concetto molto interessante…
Non amo del tutto le case disegnate dagli architetti, se devo essere sincero. Mi sembra sempre che una volta finite inizino ad invecchiare: mi piace di più l’idea che siano un laboratorio, una specie di deposito di idee.

Ho dato un'occhiata al progetto del Sejong Center for the Performing Arts di Seul. Qual è l'idea di fondo?
Abbiamo appena partecipato ad un grande concorso a Seul, per il Sejong Center for the Performing Arts. L’edificio è molto complesso per programma, abbiamo tentato di aprirlo alla città, di unirlo a questo grande parco che c’è al centro del Business District e di trasformarlo in un pezzo di performance esso stesso. Ci passa sotto, ci si sale sopra, c’è un percorso con laboratori aperti al pubblico ed ai cittadini, che così possono entrare e far parte della dinamica dell’edificio.
È un progetto che mette insieme teatri, musei, un grande percorso artistico per l'arte di strada e vuole essere anche uno spazio per il benessere. Perché i laboratori sono legati alla presenza di questo grande parco e alla al waterfront, dove ci saranno padiglioni ed attività legate anche al benessere ed allo sport, di modo che le cose si mescolino, come sempre più accade nelle città.

Ha un progetto a cui è emotivamente più legato?
Vale il discorso che facevo prima per la casa, non ho un vero e proprio progetto preferito perché vorrebbe dire che abbiamo finito il lavoro. Preferisco pensare che il progetto preferito arriverà. Detto questo, però, c’è un progetto che emotivamente mi ha colpito di più. Ed è quello dei due padiglioni per l'Expo Gate, di fronte al Castello Sforzesco, che hanno avuto una vicenda molto particolare anche dal punto di vista mediatico. Diciamo che ho subito emotivamente la loro nascita ed anche la successiva scomparsa.
Se dovesse disegnare uno smart office oggi lo immaginerebbe come prima del Covid?
Quello dello smart office è un argomento che affronto da tempo: ha subito molte evoluzioni, conseguenza dei cambiamenti sociali, che sono state accelerate dal Covid. Oggi si lavora in maniera diversa rispetto ad un tempo. Non c'è più per forza un luogo fisico e fisso dove andare: la digitalizzazione ha senz'altro cambiato il modo di approcciare il lavoro ed in questa fluidità il fatto di essere stati reclusi per un periodo ci ha fatto sperimentare anche la possibilità di lavorare da casa. Certo, non c'è tutto nella digitalizzazione: l'incontro, le riunioni fatte dal vivo generano empatia ed idee non del tutto sostituibili. Secondo me è questa consapevolezza che dovrebbe guidarci nella progettazione, oggi: considerare che le persone quando lavorano non sono più negli stessi luoghi, ma sono nelle case, nei parchi, in viaggio sui treni o sugli aerei, per cui la vita ed il modo di abitare nella propria casa o di lavorare nel proprio ufficio si sono mescolate. Uno smart office oggi dovrebbe tener conto di essere un mix tra vita normale e lavoro, che sempre di più si emulsionano uno con l’altro, tentando di non contaminarsi troppo. Bisogna cambiare il concetto di luogo di lavoro, ma forse anche il concetto di abitare.
L’intelligenza artificiale che impatto sta avendo negli studi di architettura?
L’intelligenza artificiale non sostituisce le nostre attività: in qualche modo le facilita, ci lascia concentrare su quella parte, diciamo “speciale” che può fare un architetto costruendo relazioni tra significati, tra cose che sono un po' più complesse di un automatismo. Mi colpisce sempre il fatto che alle domande che fai all'intelligenza artificiale corrispondano risposte un po' sterili dal punto di vista dell'intuizione. Avrà sicuramente un ruolo nella nostra vita: ma in qualche modo sono sicuro che ci lascerà anche la possibilità di concentrarci sulle cose che possono essere realizzate solo da chi ha portato avanti un percorso specifico. E poi posso dirle una cosa?
Certamente
Mi ha fatto molto ridere la pubblicità di un'impresa di costruzione che ho visto in un cantiere. Aveva affisso un cartello con scritto: “AI, adesso costruiscila tu” (ride, ndr).
Ultima domanda: architetto, questo lavoro la fa viaggiare molto?
Io sono di origine libanesi, per cui ho sempre viaggiato nella mia vita, sin da piccolo. Ho vissuto al Cairo e in tante altre città. Si tratta di un lavoro che fa viaggiare sì, se le cose vanno per il verso giusto. La cosa bella dell’architettura è che è ovunque, e si può lavorare camminando.

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