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Luci e ombre, per adoperare una abusata espressione, sul Ddl Santanchè che mira a dare una disciplina uniforme allo spinoso problema degli affitti brevi in Italia. Se da un lato i professionisti del settore, dalle piattaforme on line ai property manager agli albergatori, sono soddisfatti – ancorché solo parzialmente – dall’altro i sindaci non lo sono affatto, dal momento che, a parer loro, il Ddl affitti brevi non risolve in alcun modo l’emergenza abitativa né darebbe alle amministrazioni maggior potere sul territorio. Di seguito spieghiamo perché non lo fa.

Ddl affitti brevi, dubbi sul minimum stay di due giorni

La soddisfazione riguardo al Ddl affitti brevi dei property manager riuniti sotto la sigla di Aigab, degli albergatori, delle piattaforme come Airbnb e delle associazioni di categoria, inclusa Confedilizia, è solo parziale; se tutti plaudono all’introduzione del Codice Identificativo Nazionale per chi cede appartamenti in affitto turistico, che dovrebbe eliminare gran parte se non tutto il sommerso, sorgono dei dubbi relativamente al soggiorno minimo di due giorni – obbligo che costituisce una limitazione per i proprietari e potrebbe portare al proliferare dei soggiorni “in nero” – e alle sanzioni, reputate troppo blande e insufficienti a sostituire un sistema di controllo efficace contro l’abusivismo.

Disegno di legge sugli affitti brevi, sindaci delusi

Ma ad essere davvero contrariati dal Ddl affitti brevi sono i sindaci delle città, soprattutto quelle a più alta densità turistica, che speravano da questo Ddl una soluzione al problema dell’emergenza abitativa. Con l’assunto, mai da loro abbandonato, che il proliferare degli affitti brevi sia il diretto responsabile dell’aumento dei canoni di affitto e quindi del fatto che studenti, professionisti e residenti in genere facciano sempre più fatica a trovare alloggi a prezzi accessibili, determinando lo svuotamento delle città o, al contrario, il sovraffollamento di appartamenti indecorosi a prezzi vergognosamente alti. Ma è poi vero che le due situazioni sono correlate?

Affitti brevi e caro affitti: gli studi sulla correlazione

Il punto su cui occorrerebbe fare chiarezza, se si vuole trovare una soluzione a quello che è senz’altro un problema sociale, prima ancora che immobiliare, è proprio questo: individuare la causa del caro affitti. I sostenitori dell’affitto breve come causa di ogni male abitativo sostengono, in questo senso, diverse giustificazioni alla propria richiesta di introdurre ulteriori limitazioni alle abitazioni turistiche in Italia.

Prima giustificazione: tutta l’Europa lo fa. Amsterdam, Berlino, Barcellona sono tra gli esempi più citati delle restrizioni volte a limitare la presenza di turisti nei centri storici, che, nelle intenzioni, dovrebbero tornare così a popolarsi di residenti con appartamenti a prezzi accessibili.

Seconda giustificazione: l’aumento di affitti brevi fa aumentare i canoni di affitto in genere. La Stampa cita lo studio di Tortuga  (del 2020, a inflazione ben diversa da oggi) che mostra come, ad ogni aumento dell’1 per cento di penetrazione di Airbnb in una città, corrisponda una crescita del 7 per cento circa dei canoni di affitto. Sottolineiamo:

si mostra la corrispondenza, non la correlazione tra le due circostanze, essendo nello studio assente l’analisi di altri parametri come, banalmente, il rapporto tra domanda di alloggi ed esistenza di alloggi sfitti disponibili,

o tra percentuale di alloggi in affitto breve rispetto alla quota di case in affitto “tradizionale”, parametri che contribuirebbero a spiegare qualcosa delle dinamiche di domanda e offerta che spingono i canoni.

Una terza giustificazione è appunto quella che l’aumento di alloggi dati in affitto breve sia responsabile della diminuzione di disponibilità di alloggi dati in affitto tradizionale, e in particolare a studenti e giovani. Alcuni dati forniti da Link Coordinamento Universitario al Corriere della Sera mostrano per esempio come in Italia ci siano 40 mila posti letto a fronte di una richiesta abitativa da parte di 421 mila studenti fuorisede, asserendo poi che le 50 mila case presenti per affitti brevi nella piattaforma AirBnb tra Bologna, Roma e Milano (principali città universitarie d’Italia) sarebbero le principali cause della riduzione di offerta di posti letto disponibili. Senza pensare che, anche se tutte quelle case fossero presenti sul mercato degli affitti studenteschi, ipotizzando pure una media totale di 100 posti letto, non arriverebbero comunque a coprire la metà del fabbisogno totale, che ha bisogno di ben altro per essere soddisfatto.

Affitti turistici in Europa: limitarli è una soluzione?

Ma la domanda è: quanto c’è di vero nella correlazione tra locazioni turistiche e caro affitti, e, soprattutto, limitare le prime può essere una soluzione per l’emergenza abitativa? Perché, se la risposta è: "nulla", e "no", allora il Ddl che interviene sugli affitti brevi non può avere effetto sull'emergenza abitativa, di default.

Posto che non esiste – o non ne siamo a conoscenza – uno studio che mostri l’effettivo nesso di causa effetto tra l’aumento del numero di case destinate agli affitti brevi e l’aumento dei canoni di affitto, che è legato a una miriade di concause ciascuna delle quali andrebbe analizzata come parte di un fenomeno complesso, quello che si può notare è che le città principalmente citate come esempi virtuosi per aver introdotto limitazioni agli affitti turistici non hanno sperimentato corrispondenti cali nei canoni di locazione.

Amsterdam ad esempio, che sta affiancando alla politica di restrizione dei giorni a disposizione per l’affitto turistico un piano di nuove costruzioni per aumentare l’offerta di alloggi disponibili, oltre che il calmieramento di una percentuale di affitti ad un massimo di 1000 euro, è e resta la città con gli affitti più alti d’Europa.

Secondo l’International Rental Index di Housing Anywhere, nel primo trimestre 2023

per affittare un appartamento da una camera da letto ad Amsterdam bisogna sborsare 2250 euro, a fronte dei 1800 di Milano e dei 1800 di Roma,

mentre per una stanza parliamo di 920 euro ad Amsterdam contro i  720 di Milano e i 520 di Roma. E il dato interessante è che rispetto all’anno precedente ad Amsterdam un appartamento costa 350 euro in più e una stanza 140 euro in più mentre a Milano parliamo di un aumento rispettivamente di 100 euro e di 72 euro, e a Roma di un aumento di 30 euro per una stanza e addirittura di una diminuzione di 50 euro per un appartamento.

Inoltre, la capitale olandese sta sperimentando un aumento delle vendite da parte dei proprietari di casa, che non trovano conveniente affittare a prezzi calmierati, sottraendo così di fatto appartamenti alla disponibilità degli affitti.

Situazione analoga si riscontra se si guardano i dati di altre città come Barcellona o Berlino.

Perché gli affitti brevi non causano l'emergenza abitativa

Che gli affitti brevi siano poi i diretti responsabili dell’aumento dei canoni di affitto in Italia e in generale dell’emergenza abitativa che colpisce direttamente studenti e giovani coppie, è una tesi che i property manager hanno più volte contestato, dati alla mano.

“Gli affitti brevi in Italia rappresentano l’1,7% delle abitazioni a livello nazionale, con percentuali che si discostano poco tra le varie città, - spiega Marco Celani, Ceo di Italianway e presidente di Aigab, l’Associazione nazionale dei property manager. - Possibile che dipenda tutto da loro, quando le case vuote in Italia sono 9,5 milioni, di cui centinaia di migliaia nei centri storici, decine di migliaia di proprietà pubblica?”.

Qual è allora la causa dell’emergenza abitativa?

“La causa la possiamo trovare nelle prime pagine di qualsiasi manuale di microeconomia: si chiama legge della domanda e dell’offerta.

Se a fronte di una altissima domanda abbiamo una scarsità di offerta, i prezzi salgono. Ora, visto quanto poco pesano numericamente sul totale degli alloggi quelli dati in affitto breve non possiamo davvero pensare che la carenza di offerta sia “colpa” delle locazioni turistiche, che al contrario portano ricchezza al Paese. La causa va invece cercata nel perché ci siano così tante case vuote, che i proprietari preferiscono lasciare sfitte piuttosto che dare in locazione”.

E perché allora scarseggia l’offerta di case in affitto?

“I fenomeni complessi vanno analizzati pesando le varie componenti che hanno un impatto. Cosa ha impatto sui canoni degli affitti e sul numero di case disponibili? Punto primo, la crescita demografica. Più nati significa più residenti e più richiesta di case. Le uniche città italiane in crescita demografica sono Milano, Bologna e Firenze. Punto secondo: i tassi di interesse in aumento. Cresce il costo dei mutui e le giovani coppie non possono permettersi di comprare casa, quindi aumenta la richiesta di case in affitto. Punto terzo: l’inflazione, che secondo Istat ha portato i contratti 4+4, che in Italia sono 4,3 milioni, ad aumentare dell’11 per cento. Punto quarto: la capacità di attrazione di alcune città: Milano attira giovani talenti e, insieme a Bologna, Roma e Firenze, ha le migliori università d’Italia, il che aumenta il numero dei fuorisedee quindi la richiesta di alloggi. Se aumenta la domanda di immobili e non aumenta l’offerta, il costo degli affitti sale perché più persone sono disposte a pagare un prezzo più alto. Ma nella maggior parte delle città italiane il fenomeno è inverso: il valore degli immobili cala perché c’è un eccesso di offerta e poca domanda”.

Può essere che la quota di alloggi in affitto breve sia più pesante in alcune città rispetto ad altre?

“Ovviamente ogni città ha la sua storia: ad esempio nella zona 1 di Milano gli studenti non ci sono mai stati. Togliere quegli alloggi alla locazione turistica significherebbe lasciarli sfitti o darli in affitto a chi può permettersi 8 mila euro al metro quadro,non certo agli studenti. Del resto a Milano si sta costruendo molto, anche grazie a politiche pubbliche che prevedono affitti accessibili per una certa quota di nuove costruzioni, quindi il mercato troverà il suo equilibrio”.

IL Ddl affitti brevi non ha accontentato i sindaci, è giusto?

“Il Ddl guarda al problema turistico nazionale, non alle politiche abitative locali, e del resto il Ministero non aveva mai affermato di voler dare ai sindaci il controllo sugli affitti, che è ciò che chiedevano. Non si può risolvere un'emergenza pubblica con il patrimonio dei privati. Quello di cui c’è bisogno è una normativa nazionale semplificata rispetto alle venti normative regionali, e un controllo centrale che permetta di selezionare a monte gli operatori, contrastando il nero che, a livello locale, abbonda.

Con l’obbligo di Cin da parte di chiunque voglia affittare casa chi non è in regola semplicemente non può entrare nel mercato degli affitti.

Se vogliamo citare gli esempi fuori dall’Italia, la Grecia ha fatto esattamente la stessa cosa: ha introdotto un codice nazionale e ha chiuso tutte le attività che ne erano sprovviste. Così il mercato più nero d’Europa è diventato il più trasparente”.

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